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CASA A COLLE OPPIO
Roma
1996
Foto: Guy Bouchet
Quasi centocinquanta metri quadri in un palazzo razionalista degli anni Trenta. La casa è chiara, monocromatica, essenziale, priva di ingombri o lampi di colore, minimalista ma piena di calore. La geometria che la percorre è morbida, segnata dalla voglia di luce e di aperture. “Pur rifacendomi al passato non accumulo” - racconta Pino Pasquali, architetto che dato “Forma & Memoria” al suo operare, scegliendo di firmare con queste semplici parole i suoi progetti. “Sento che il filo non si spezza se è pulito e disponibile al rinnovo”. Questa è una casa aperta, anche se in apparenza è l’esatto contrario del loft. Infatti è piena di divisioni, come se fossero tutte stanze una dentro l’altra, ma se manca una porta di collegamento c’è sempre un oblò. La cucina, privilegiata rispetto al resto, è tra terrazza e sala da pranzo; la camera da letto si affaccia con doppia porta sul salotto. “Quello che ho avuto subito chiaro” - sostiene - “è che volevo avere la possibilità di vedere sempre il terrazzo”. L’impianto della casa è tradizionale: un corridoio e quattro stanze, non grandi. E l’intervento di ristrutturazione è minimalista, non appariscente, fatto soltanto di aperture e di mateliali semplici. Tutto è bianco, anche i pavimenti, C’è solo un tocco di grigio sulle porte, in cucina e in salotto.
“Detesto essere oppresso dalle cose” - racconta Pino Pasquali - “e i mobili, pur fuori scala, spesso unici attori dello spazio che rappresentano, sono ridotti al minimo”. Per questo motivo il tavolo Ottocento in sala da pranzo è tinto di bianco così da scomparire, come assorbito dalla struttura della stanza. L’unico tocco di colore viene dai quadri, con una preferenza per l’arte contemporanea. “Sento che è più importante sottrarre che accumulare” - continua - “lo spazio deve contenere le nostre abitudini e i nostripensieri”. “E, all’interno, una tipologia tradizionale deve permettere un costante confronto tra vecchio e nuovo, espresso con un’immagine evocativa”.
Senza assecondare le mode Pino Pasquali segue un percorso ideale influenzato da due passioni: la leggerezza solida di una certa architettura degli anni Trenta e quella letteraria suggerita dalle “Lezioni americane” di Calvino, fatta di rapidità ed essenzialità. E rapido è anche il suo approccio al progetto.
“Arrivo subito all’idea” - continua. “Vedendo una casa, l’emozione è immediata, non mi interessa il dettaglio, l’accostamento. La leggerezza è frutto di luce e colore e dell’uso essenziale di oggetti funzionali. Ma senza limiti o rigori. Io credo che la casa debba riflettere la nostra poetica, non ostentare. E che l’approccio al progetto sia romantico, pur mantenendo la libertà di cambiare come, del resto, cambia la nostra vita e il nostro stato d’animo. Infatti, il limite delle case troppo progettate è che sono bloccate e a un certo punto, per modificarle, si è costretti a stravolgerle. Inceve qui pasta poco per seguire il proprio spirirto e conservare, senza drastiche violenze, il filo della propria memoria”.
Marina Pertile
“Detesto essere oppresso dalle cose” - racconta Pino Pasquali - “e i mobili, pur fuori scala, spesso unici attori dello spazio che rappresentano, sono ridotti al minimo”. Per questo motivo il tavolo Ottocento in sala da pranzo è tinto di bianco così da scomparire, come assorbito dalla struttura della stanza. L’unico tocco di colore viene dai quadri, con una preferenza per l’arte contemporanea. “Sento che è più importante sottrarre che accumulare” - continua - “lo spazio deve contenere le nostre abitudini e i nostripensieri”. “E, all’interno, una tipologia tradizionale deve permettere un costante confronto tra vecchio e nuovo, espresso con un’immagine evocativa”.
Senza assecondare le mode Pino Pasquali segue un percorso ideale influenzato da due passioni: la leggerezza solida di una certa architettura degli anni Trenta e quella letteraria suggerita dalle “Lezioni americane” di Calvino, fatta di rapidità ed essenzialità. E rapido è anche il suo approccio al progetto.
“Arrivo subito all’idea” - continua. “Vedendo una casa, l’emozione è immediata, non mi interessa il dettaglio, l’accostamento. La leggerezza è frutto di luce e colore e dell’uso essenziale di oggetti funzionali. Ma senza limiti o rigori. Io credo che la casa debba riflettere la nostra poetica, non ostentare. E che l’approccio al progetto sia romantico, pur mantenendo la libertà di cambiare come, del resto, cambia la nostra vita e il nostro stato d’animo. Infatti, il limite delle case troppo progettate è che sono bloccate e a un certo punto, per modificarle, si è costretti a stravolgerle. Inceve qui pasta poco per seguire il proprio spirirto e conservare, senza drastiche violenze, il filo della propria memoria”.
Marina Pertile