“ VIENI...VUOI CONOSCERLO TU?”

Giuseppe Pasquali

E’ il 1967, un finistrino sul treno da Santa Margherita Ligure a Roma, le gambe appiccicate sulla tappezzeria della prima classe, io adolescente: è questo quello che ricordo di un viaggio con C.A. Bixio, anzi del “Maestro” (così veniva chiamato da tutti, famiglia compresa). All’altezza dei miei occhi vedevo un uomo adulto, che per me era semplicemente il papà del mio amico Franco, con il quale tornavo a Roma dopo una breve vacanza. Eravamo alla fine dei mitici anni ‘60 e quell’uomo per me era solitamente una figura che compariva in mezzo ad un corridoio o in un posto a tavola, e faceva da sfondo ai miei pomeriggi romani a casa Bixio. lo guardavo, non riuscendo a condividere il mio viaggio con un adulto sì gentile e generoso, ma che nulla conosceva dei pensieri che in quel momento affollavano la mia mente sulla vita sentimentale, all’epoca abbastanza tormentata, come per tutti quelli che scoprivano i primi amori o tradimenti. In quel viaggio interminabile e di grandi silenzi il “Maestro” per me non era quello che poi ho scoperto essere: il più grande creatore di melodie proprio sull’amore. Solo in seguito e per caso, anzi per curiosità, mi capitò di ascoltare uno dei pochi dischi conservati in una vecchia vetrinetta sistemata senza pretese in un corridoio della sua casa. “Vieni c’è una casa nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?”, un ritornello che mi ha curiosamente accopagnato per gli anni a venire, un ritornello che forse aveva per me un significato profondo che però non capivo, un ritornello che coesisteva nello spensierato interno romano di casa Bixio con le canzoni dei Beatles, di Dylan, di Ornella Vanoni, di De Andrè ecc.. Così magicamente questo straordinario collage musicale mi fece capire che C.A. Bixio non era solo il padre del mio amico e compagno di scuola, non era solo quell’uomo riservato e tranquillamente borghese, ma un grande artista e uno straordinario imprenditore. Non trapelava nulla di tutto ciò né dalla sua vita né dal suo aspetto fisico. E’ poi questa strana ed attraente miscela tra le canzoni di Bixio sedimentate nella mia memoria e l’attrazione per canzoni più congeniali alla mia giovinezza, ciò che formato paradossalmente anche la mia identità di architetto. E quella prima canzone ascoltata con quel verso “vieni...vuoi conoscerlo tu?” sempra raccontare il mio amore per l’insegnamento. Queste analogie possono sembrare un’assurdità ma, nel mio lavoro, ho sempre cercato di conciliare gli aspetti tradizionali della disciplina con le esigenze della contemporaneità. “...per me non esiste il passato perchè considero che tutto è simultaneo nella nostra cultura...e nemmeno esistono fratture tra l’architettura antica e moderna, né storiche e neppure tecniche, perché né tecnica né nuove materie alterano quelle condizioni eterne ed uniche di giudizio, ma le proseguono...” così scriveva in Amate l’architettura Giò Ponti, grande architetto coetaneo, guarda caso, di C.A.Bixio e così ho sempre pensato anch’io. Questo si ritrova anche nel pensiero e nel lavoro di Bixio che si è svolto, come molti studiosi affermano, sempre nel solco della tradizione che poi ha continuamente rinnovato con dei colpi di genio, come per la “prima canzone in italiano”, o come autore della musica per il “primo film sonoro italiano”, o la creazione della “prima casa editrice solo per musiche da film”. “Il genio è frutto dell’ingegno” dice un proverbio “ma il talento deve essere levigato come una gemma, altrimenti rischia di rimanere sconosciuto” (Yukio Mishima - Lezioni spirituali per giovani samurai). Prendo questa citazione in prestito per riflettere su un uomo che questo concetto ce lo aveva impresso sulla carne, forse perchè le vicende della vita gli avevano insegnato che bisogna impegnarsi ogni giorno e non adagiarsi sui primi successi.  Un uomo che non sapeva, o non era interessato a sapere, di essere un genio. Come spesso succede che è artefice della storia, musicale in questo caso, è troppo preso dal fare, dal creare, dal realizzare che non trova il tempo per riflettere su se stesso, nè costruire meccanismi per alimentare il proprio narcisismo. C.A. Bixio, che dominato con la sua creatività un trentennio, dal primo dopoguerra ai primi anni ‘50, ha conservato dei suoi successi e del suo enorme e costante lavoro solo un numero sterminato di spartiti delle sue canzoni e quasi nulla della sua vicenda umana: qualche foto, un paio di interviste e pochissimi documenti. Quegli spartiti che, aperti sul leggio, erano allora l’unico strumento per conoscere la musica, diventavano un’industria e l’elemento fondamentale per la comunicazione al grande pubblico erano le copertine che, grazie all’opera di veri e propri artisti disegnatori, con una sola immagine, raccontavano il senso e l’emozione che avrebbero trasmesso quelle canzoni quando sarebbero state suonate e cantate.  In quegli anni di grandi cambiamenti culturali, in cui i diversi linguaggi si aprivano e si sintonizzavano sulle nuove esigenze della comunicazione di massa, l’immagine grafica di tutto ciò che viene divulgato attraverso il supporto cartaceo, pubblicità, editoria e musica ecc.., diventa centrale, tanto che i più grandi artistei dell’epoca, da Cambellotti a Balla, a Depero, Tato, Sironi o a Fontana e altri, partecipavano attivamente a questa forma espressiva, anzi spesso era per molti artisti l’unica fonte di sostentamento. Gli spartiti della lunga attività di Bixio, visti singolarmente o nella loro totalità, sono dei capolavori e raccontano tutte le tendenze artistiche del ‘900. Di questa straordinaria produzione e di questa qualità grafica probabilmente ne aveva coscienza anche il “Maestro” che difatti li ha conservati gelosamente. Questi erano e sono “l’oggetto” principale su cui si è fondata la sua produzione industriale fino all’avvento dei dischi in vinile. Da qui la necessità di rimettere in luce il personaggio rimasto in penombra perchè offuscato dall’enorme successo della sua stessa musica. E’ venuto spontaneo far riemergere, come in una installazione cinematografica (vedi la figura di Georges Méliès nel film Hugo Cabret di Martin Scorsese), questi oggetti in tutta la loro meravigliosa qualità e varietà. Quegli anni, tra le due guerre, sono stati caratterizzati da un grande fenomeno di creatività e ricerca da parte della nascente grande imprenditoria italiana ed i più attenti erano presi dal costruire la nuova immagine dell’Italia e della sua genialità: Olivetti, Campari, Agnelli, Gualino...Bixio.
Certamente un’analisi e una lettura più accurata di questa massa di immagini, popolari ma anche colte, fanno emergere la storia della musica e del cinema italiano di questo trentennio e in filigrana intravedere le mode, le avanguardie e tutti quegli aspetti che caratterizzano la vita della società compresa la condizione sociale degli italiani.  Il racconto della vita di C.A.Bixio è un pezzo di storia, di storia vera, di storia italiana. Quella storia fatta di eccellenze e di segni che rimangono come pietre miliari nello sviluppo della cultura e della società. La storia di un uomo che conosceva la strada, “la strada nel bosco”, la strada complessa della vita e che ce l’ha raccontata ma anche allietata. Peccato che in quel viaggio da Santa Margherita Ligure a Roma non sapessi ancora che quell’uomo, C.A.Bixio, per me solo il padre di Franco, era stato l’autore delle parole e dalla musica che avevano fatto da sottofondo agli amori del ‘900 italiano.