U
UFFICIO DIREZIONALE TECNOLOPO
Roma
2009
Foto: Anna Lucia Di Dio
"Esiste in mezzo
al tempo la possibilità di un'isola"(Houellebeq), potrebbe essere il
titolo di un "piccolo" ufficio direzionale al Tecnopolo Tiburtino;
"piccolo" non in senso stretto ma in quanto trattato come si fa con
un'opera minuta, usando quasi la logica dell'artigiano. Esso e' un esempio di
come si siano tradotte le esigenze di un committente "tecnologico" in
realtà; un'astronave per lavorare che diventa luogo intimo, "possibilità
di un'isola" appunto. Gli elementi che fanno parte di questa composizione
sono una sala d'attesa, un ufficio, una sala privata, una "promenade"
attraverso Super-io, io, Es, accostati secondo la pratica della natura morta
Metafisica, in cui elementi disposti in un rebus, trovano senso a seconda del
racconto che sta sopra di loro. Il giardino segreto nascosto dietro una casa
archetipica, il salotto nero dell'enigma, tutto dentro uno scrigno foderato in
legno di Pero è il primo colpo d'occhio di una scrittura volutamente elegante e
sospesa nel tempo. L'architettura suggerisce questo senso del "galleggiare"
grazie anche ad un elemento strutturale, ossia una porzione dell'ufficio che in
parte aggetta ed è completamente di vetro, immediatamente simile ad un
cristallo incastonato nella roccia grezza, così come il piccolo ambiente si
innesta nella facciata del palazzo. Inoltre il fatto che l'ambiente sia
totalmente rivestito da una "boiseries" fa si che le pareti siano
lavorate come una scultura, dietro la quale si nascondono i fili di una
tecnologia altrimenti troppo ingombrante. Ad elementi estremamente contemporanei, quindi, quali
tavoli "intelligenti" che ospitano computers e tutto quanto concerne
i meccanismi di funzionamento dell'intero ufficio, si affiancano testimonianze
di indagini introspettive, che reinterpretano in chiave contemporanea il concetto
di studiolo quale luogo riflessivo del lavorare in solitudine.